Un paio di mesi fa, Oslo ha rinnovato la sua amministrazione cittadina. In quei giorni mi è arrivato un sms di un’amica, Kirsti. Mi segnalava che sarebbe andata a votare perché voleva politici che costruissero più piste ciclabili nella sua città. Ora, con tutto il bene che voglio a Kirsti, e pur sapendo che parla a ragion veduta perché si fa ogni giorno otto+otto km in bici per andare e tornare dal lavoro, le piste ciclabili non sono un problema a Oslo. Sarebbe come dire che a Napoli c’è una carenza atavica di pizzerie...Tutto quel che riguarda il perfetto funzionamento dei servizi e la vocazione ecosolidale non è un vero problema da quelle parti. Casomai la cosa che ti colpisce è proprio l’atteggiamento allegramente schizofrenico dei giovani che da una parte sono attentissimi a tutto quanto riguarda la cura del fisico, lo sport, le attività naturalistiche, dall’altra non si negano per nessuna ragione al mondo la possibilità di viversi la notte, di approfittare delle occasioni che i club e le sale concertistiche mettono loro a disposizione. È gente che potrebbe andare a un rave in bicicletta oppure passare il pomeriggio sugli sci di fondo (c’è un’immensa pista illuminata, che parte alla fine delle linee 1 e 5 della metropolitana) e poi tornare in tempo per affrontare il lungo tour di bagordi e danze di un sabato sera in città. Penso a tutte queste cose e nel frattempo Kirsti mi ha invitato a Oslo per guidarmi alla scoperta della capitale della Norvegia. Appena arrivato andiamo a pranzo nel Caffè dell’Università (Universitetsgata, a due passi dalla Galleria Nazionale) e, tanto per iniziare, cerca di convincermi ad affittare un paio di sci da Skyservice in Tomm Murstadbakken 2. Vuole essere accompagnata nella sua “sgambata” attraverso la foresta che cinge, come una cornice, i dintorni di Oslo. Qui fa già meno cinque a metà ottobre, mettere gli sci è come mettere le scarpe. Accetto, a patto di tornare presto in centro. Torniamo in tempo per l’imperdibile aperitivo preserale, due cocktail al Bar Boca (Thorvald Meyers Gate 30, a Grünnerløkka), in realtà una specie di miccia alcolica che serve a bilanciare lo scompenso termico. Non faccio in tempo neppure a immaginare la funzionalità di un preservativo a forma di renna in vendita al Kondomeriet (una specie di boutique dell’erotismo con un piccolo cupido nel logo) e già Kirsti scalpita in cerca di una “ballroom”. La notte la passiamo al Blå, il locale consigliato dai musicisti ai loro colleghi, una fornace sonora, un laboratorio per gaudenti. Stasera suona Paolo Vinaccia, batterista pugliese oramai naturalizzato scandinavo. A pochi metri scorre il fiume, tra piccoli tasselli di ghiaccio. Oslo è una capitale sostanzialmente giovane, che conta a tutt’oggi poco più di cinquecentomila abitanti. Quella odierna ha la fisionomia di una città cosmopolita. E non si riesce a superare la cartolina di una metropoli nordica fatta solo di cittadini alti e biondi se non si tiene presente che, passeggiando per vie come Torggata, Grensen, Ullevålsveien, si finiscono per incrociare anche tratti somatici di tutt’altro tipo. Gli stranieri sono il 22%, secondo un dato in continua crescita, e sono loro che si occupano ad esempio di dare una scossa al non troppo variegato menù tradizionale nordeuropeo, nonché di mantenere accettabili le tariffe dei pasti. Noi abbiamo mangiato speziatissimi piatti mongoli al Mirawa Barbeque (Øvre Slottsgate 27), dalle parti del Parlamento, ma la cartina di tornasole in questo senso è il quartiere Grünnerløkka. Questa vecchia zona operaia lungo il fiume Aker è diventata una delle aree più dinamiche della città. La sua atmosfera multiculturale ispira diversi designer di moda e arredamento, musicisti e galleristi. Al fianco di un locale di sedie vintage, o di un negozio di hi-fi artigianale (Lyric HiFi in Torggata 26, un vero paradiso dell’analogico), si incrociano spesso un grill di kebab o un supermercato di prodotti etnici, perlopiù gestiti da pakistani, la comunità di immigrati più numerosa. Ce n’è uno in Thorvald Meyers Gate ad esempio, più o meno all’incrocio con Helegenses, dove si può far incetta di esotismo davvero a buon mercato. La domenica pomeriggio (dalle 12 alle 20) vale la pena di fare un salto anche al mercatino dell’usato in Birkelunden Market, nella più grande delle piazzette verdi della zona (Birkelunden appunto). A Grünnerløkka, così come nel confinante Grønland, la quota di residenti formata da immigrati ha una sua spudorata visibilità. «La gente viene a stare qua perché siamo un popolo gentile», mi dice sorridendo Alexandra Archetti. La incontro nel caffè molto freak, adiacente al Parkteatret, che dà proprio su Birkelunden. Alexandra è il direttore artistico dell’Oslo World Music Festival, (http://www.osloworldmusicfestival.no/) una kermesse che nel mese di ottobre veste la città, appaltando i locali più caldi di Grünnerløkka, Parkteatret compreso. «È facile», continua, «passare da queste parti e allacciare collaborazioni e magari decidere di stabilirsi in un posto che privilegia gli incontri e gli scambi. È vero poi che dal punto di vista musicale ci sono una scena jazz e una scena elettronica aperte alle contaminazioni con personaggi come Jaga Jazzist, Jan Garbarek, Nils Petter Molvaer, “norvegesi acquisiti” quali Dhafer Youssef e Miki ‘NDoye, abituali frequentatori della capitale come Röyksopp, Thomas Dybdal, Erlend Øye. E poi c’è Bugge Wesseltoft, una sorta di guru per tutta la crew musicale della Oslo odierna. Lo incontro in uno dei posti più cool della capitale, il Råkk&Rålls (rock’n’roll in norvegese) che si cela in una delle vie laterali della centralissima Karl Johans Gate. In questo paradiso dell’arredo e della moda vintage con annesso negozio di dischi (nuovi e usati) Wesseltoft, pianista e producer, nonché titolare della label Jazzland, sembra un salmone nel suo ruscello. Gli chiedo di questa strana calamita creativa che è diventata Oslo: «C’è molta comunicazione tra noi, scambio di idee e di vedute, rispetto reciproco. Quello che succede alla comunità musicale è lo specchio della creatività di una cittadina piccola ma agguerrita. Sono contento di abitare qui». Non fatico a credergli. È quasi sera, attraverso la strada, davanti alla metro Stortinget un gruppo di ragazzi chiede un obolo per il mirabolante ballo hip hop appena eseguito. Sembrano più snowboarders che altro. Ma è probabilmente colpa della temperatura. Sotto il piumino hanno sicuramente la maglietta di Puff Daddy.
lunedì 7 gennaio 2008
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